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La mia attività di scrittore, in termini di pubblicazioni, è relativamente recente, ma la passione è antica e risale alla mia adolescenza.

In seguito alla pubblicazione del mio primo libro - Teatro Fuorilegge, di cui si parla più avanti - per una serie di fortunate coincidenze, entrai a far parte dell'agenzia letteraria di Silvia Meucci che è la vera artefice del mio passaggio dalla drammaturgia alla narrativa. Così è nato il mio primo romanzo, ESCO, che verrà pubblicato da Bompiani nell'aprile 2013.

Eccone una presentazione e la copertina.

Copertina_ESCOESCO

Una cittadina campana. In una notte che sembra qualsiasi, e non lo è, come non lo è mai nessuna, un uomo viene investito da un pirata della strada. O almeno così pare. Certo le circostanze sono piuttosto anomale: l'uomo aveva un computer in mano e cercava di connettersi a una rete internet. Comunque quest'uomo, a scanso di equivoci, muore.

Intorno a questo evento si moltiplica una folla di personaggi, a vario titolo coinvolti, che se uno ci volesse fare caso sarebbero davvero tanti. C’è Carla Ludovisi, vedova della vittima che, prima ancora che affranta, è incazzata nera con il suo defunto marito, tra l’altro, per il modo surrealista della sua morte, e c’è il suo amico storico Giorgio Malosti che ha una passione sfrenata per i dettagli e le ultime parole. Il commercialista Guglielmo Conte ha dei sentimenti e ha anche un figlio che lo schifa, parole sue, del figlio. E ci sono tutti gli altri. Ognuno di loro porta un contributo alla storia, più o meno come una staffetta viene vinta da tutta una squadra e non solo dal primo o l'ultimo staffettista.

Questi attori si muovono sulla scena, incendiata dalla scintilla dell'incidente iniziale, ognuno col proprio carattere e umanità. Questa soprattutto. La miseria della comune umanità che si rivela nella quotidiana battaglia con tutti gli altri e, non con meno intensità, con se stessi. I personaggi si incontrano, si intrecciano, si riconoscono a volte, più spesso no, e piano piano si ritrovano, come palle da biliardo che prima o poi si scontrano e vanno a finire nelle buche. I discorsi di ognuno di loro sono totalmente autonomi, nessuno sa che sta raccontando una storia, nessuno sa (nemmeno chi legge) chi è il protagonista, nessuno immagina a chi bisogna credere. E' come nella vita reale, nella vita, nessuno di noi riesce mai a vedere dall'alto, con una visuale comoda, panoramica, nessuno è lettore delle storie di tutti. Tutti siamo sempre, solo, portatori della nostra, solo questo, e nessuno, neanche con la più enorme fantasia, può sapere come questa si incroci con quella delle altre. La questione, però, è che c'è un morto. E, come capita sempre quando c'è un morto, c'è bisogno di dare la colpa a qualcuno, di trovare l'assassino, o almeno di cercarlo. Ecco allora che il trhiller si dipana, l'indagine si fa. Il giallo esiste. E c'è, verso la fine, anche un ispettore di polizia con uno dei suoi sottoposti: l’indimenticabile Pasquale "veramente" Bove (chiamato così per via di un uso improprio e troppo frequente di quell’avverbio insulso). Quindi tutto a posto, il fattaccio si risolverà, in qualche modo. Non senza altri eventi, non senza sofferenza, non senza risate, non senza lacrime, ma si risolverà. E in fin dei conti è questo che conta, no? A proposito del titolo: è che lui, la vittima, l'investito, prima di uscire di casa con il suo bel computer bianco in mano, questo aveva detto. Aveva detto: "Esco".

          Poi è stata la volta di "Come un chiodo nel muro", edito ancora da Bompiani, nel settembre del 2014. Il libro narra la vicenda di un avvocato penalista, Giustino Salvato, in una settimana decisiva della sua vita.

COME UN CHIODO NEL MURO

copertina_in_jpg_ridotta

L'avvocato penalista Giustino Salvato ha un problema: è incazzato nero, sempre e con tutto il genere umano, senza distinzioni. E in più ha un problema serio con gli scarafaggi che gli provocano più del normale disgusto: sono diventati un simbolo. La peggior specie di essere vivente con cui si possa avere a che fare rappresenta anche la peggior feccia di essere umani che lui, per ragioni professionali, è costretto a difendere e rappresentare.

In verità è sempre arrabbiato proprio per questo: sa di essere uno di loro.

Quella settimana di fine ottobre, in particolare, è un delirio. Seguire l'avvocato, minuto per minuto, in tutto quello che gli capita e in tutto quello che lui pensa e dice, è un viaggio pieno di inquietudine e paradossi. La sua passione per le catastrofi naturali, i tentativi di controllo della rabbia sullo sfondo della criminalità organizzata (che vive qui quasi solo come connotazione geografica): tutti questi elementi danno a Giustino Salvato una continua fluttuazione e quello che gli accade, in defintiva, è un ritorno indietro, un inizio di inversione alla condizione di essere umano.

E quali siano le cause profonde di questa lenta trasformazione è tutto da scoprire. Che sia la riapparazione di una sua vecchia fiamma, l'incantevole Giorgia – c'è un omicidio che le pende sulla testa e lui deve difenderla – o che sia l'affetto dei suoi cari, unico argine all'esplodere della sua incontenibile energia nera – suo padre, sua sorella e suo nipote, quel che gli resta di una famiglia – o che infine possa essere il suo recente e sempre più frequente tuffarsi nel passato, il rileggere la propria storia, e il continuo risalire a galla, come cadaveri in un lago, dei suoi ricordi, della sua memoria, colma di vecchie aspirazioni, scritti giovanili, segreti, desideri inespressi o irrealizzati, che sia una qualunque di queste cause o anche tutte queste insieme, quello che accade all'avvocato Salvato è una vera e propria metamorfosi capovolta: diventa un Gregor Samsa alla rovescia che finalmente, dopo troppi anni, si ritrova uomo.

Ed è una sua poesia giovanile, sua di Giustino, che chiarisce il titolo, i primi due versi: Ostinato/ come un chiodo nel muro...






Poi fu la volta de  L'UOMO CHE NON RIUSCIVA A MORIRE
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Romanzo dedicato al mio caro amico Peppe Clemente, uscito alla fine del 2015 con un nuovo editore NN, neonata casa editrice milanese, accogliente e molto attiva.
 Qui sotto la nota di copertina.

"Il presente è limitato, è un punto di vista limitato, da cui si ha un orizzonte piccolo. Bisogna alzare lo sguardo, pensare più in là"




Il quarto romanzo è  PRELUDIO A UN BACIO (2018), libro fortunato che mi ha dato l'onore di vincere il Premio Selezione Bancarella nel 2019 e di essere finalista al Premio Asti d'appello.


Preludio_a_un_bacio


"Emanuele è un senzatetto, un musicista che suona agli angoli delle strade. Ha rinunciato a ogni affetto e contatto umano, tranne quello di Maria, che lavora in un bar e si prende cura di lui. Finché un giorno, dopo un’aggressione, Emanuele si risveglia in ospedale e si accorge d’un tratto che la sua apatia è scomparsa: persone e cose brillano di una nuova luce, spingendolo ad agire per rimediare agli errori di un passato sprecato. Non solo un romanzo, ma un monologo su carta, ambientato in un teatro fatto di jazz, ricordi e rimpianti; Tony Laudadio ci consegna una storia colorata come una processione lungo le strade di una città di provincia, popolare e anche un po’ kitsch, emozionante come il brivido che ci coglie quando ritroviamo frammenti di fiaba nella vita di tutti i giorni.
Preludio a un bacio è la storia di una rinascita in crescendo, in corsa verso una felicità inafferrabile, ma comunque capace di dare senso a una vita intera."


Nel 2020 è uscito il mio romanzo distopico/fantascientifico
IL BLU DELLE ROSE. 
9788894938821_0_0_626_75 Sulla quarta di copertina NN editore aveva scritto questo lancio:

"Per chi sogna un futuro in cui le auto si guidano da sole, per chi ha
riletto una poesia di Montale di cui ricordava solo pochi versi, per chi
ascolta il tintinnio di un acchiappasogni in veranda, e per il mistero
della rosa blu, che obbedisce all’artificio della bellezza, ma conserva in
sé la ribellione della natura."




         Nel corso degli anni ho creato, soprattutto per la mia stessa compagnia, testi teatrali di varia natura, che abbiamo poi, in molti casi, messo in scena. Nel 2009 tre mie opere furono pubblicate per le Edizioni Spartaco, coraggiosa e agguerrita casa editrice di Santa Maria Capua Vetere (CE), nel volume, già citato, dal titolo Teatro Fuorilegge. Ne scrisse una splendida introduzione il critico teatrale e scrittore Giulio Baffi. Qui di seguito riporto quell'introduzione e una breve sinossi dei tre testi.



TEATRO_FUORILEGGE_-_copertina_libro_(2009)

Teatro Fuorilegge


"La sfida dell’atto unico"
introduzione di Giulio Baffi

Un «atto unico» è quasi una sfida, deve aggredire il palcoscenico
con la forza di una comunicazione appassionata, con la velocità
di un’incursione, con la sapienza di un’architettura verticale
tesa verso spazi non definiti. Conquista immediata del pubblico.
Non c’è il tempo dell’errore. Concisione del racconto. Non ci
può essere ripensamento nel percorso di costruzione delle psicologie
dei personaggi. Nessuna correzione di rotta. Tante volte,
e da tanti, ritenuti drammaturgia minore, gli «atti unici» sono
diventati i percorsi preferiti di tanta parte del teatro. Di attori e
registi che, faticosamente entusiasti, ne ritrovano la scrittura
quasi segreta nella produzione teatrale di grandi autori che, impegnati
in costruzioni più complesse e dai tempi più lunghi, se
ne erano quasi vergognati.
Oggi gli «atti unici» sembrano rispondere meglio alle singolari
esigenze di un mercato che chiede, ostinato, rapidità nella comunicazione
e nel divertimento.
Paradossalmente la messa in scena di un «atto unico» diventa
così paradigma più complesso. Più si è brevi nel racconto più si
dovrà andare dritti al bersaglio, rapidi nel colpire al cuore lo
spettatore e/o il lettore.
Ci prova, e ci riesce, Tony Laudadio nei suoi tre racconti in un
tempo, scritti per il teatro: La gabbia, L’appostamento e Infanzia di un socialista. Percorsi vagamente fantastici, momentaneamente
autobiografici, ironicamente concreti, drammaticamente plausibili.
Messi insieme in un unico gioco di volti e persone, restano
distanti tra loro per differenti atmosfere, situazioni, percorsi.
Dandoci però un esempio della fantasia e delle capacità di un attore
bravo e acuto, forse soltanto prestato alla scrittura. Tutti e
tre questi «atti unici» pagano volentieri il loro debito all’attore,
questa volta in veste di autore, che ne esalta l’ipotesi di rappresentazione.
Nella rapidità o brevità della battuta delle prime due
pièces, costruite come labirinti d’incontri e scontri un po’ crudeli
e/o disperati. Nella inesausta voglia di raccontarsi della terza,
che intreccia il proprio percorso spudoratamente personale in
una singolare cronaca nazionale, deformata e portata nell’intimità
di una divertente riflessione dispettosamente preadolescenziale.
Un attore prestato alla scrittura, ho scritto, perché, per mia
personale deformazione, preferisco essere spettatore piuttosto
che lettore. E quindi nella lettura di questi tre «atti unici» ho cercato
in ogni modo possibile di ascoltare le voci di attori che recitano
queste loro battute. Ma ho anche cercato di ascoltare la
voce dell’autore recitare le proprie battute. Il gioco funziona.
Facendo venire voglia di «vedere» in teatro quanto, curiosi e divertiti,
si va leggendo. Mi sembra questo un bel risultato, che
sottrae il progetto teatrale alla «semplice» lettura, portandolo
verso l’immediata ipotesi della messa in scena. Che è un bel modo
di leggere il teatro, facendolo vivere oltre la pagina e spingendolo
verso la sua naturale verifica: in palcoscenico.


LA GABBIA

Uno scrittore viene rapito da un capo clan della camorra. Chiuso in una gabbia, viene costretto a scrivere un testo teatrale orientato ad esaltare le gesta dei camorristi e a introdurre il concetto che la presenza dei clan sul territorio è la salvezza di quel popolo considerata la sostanziale assenza dello Stato. Questo testo teatrale garantirebbe fama e successo allo scrittore a spese della sua coscienza fino ad allora immacolata, ma col passare dei giorni e sotto la minaccia di violenze contro la sua famiglia, lo scrittore comincia a cedere e scrive. In breve si rende conto di essere solo un piccolo tassello di un più ampio progetto di rovesciamento dello Stato, di un golpe, ideato dal potente Chef, il capo clan. Una rivoluzione, la definisce Chef, che cambierà anche le dinamche dei rapporti umani, a partire dalla gabbia delle relazioni familiari e parentali, che sono solo corde e lacci che impediscono all'uomo una libertà totale e realizzata.


INFANZIA DI UN SOCIALISTA – monologo

Ambientato nel 1979, è la storia di un bambino che in quell'epoca si trova a vivere sulla sua pelle il blocco impenetrabile dei due schieramenti politici italiani più rappresentativi: quello democristiano e quello comunista, rappresentati tra le mura di casa, dalla sua mamma e dal suo papà. La ricerca di una terza via per il bambino – e per l'Italia – lo condurrà all'adesione al Partito Socialista. Il particolare della vita del bambino con i suoi esperimenti politici per la scelta del capoclasse, con i rapporti con i suoi genitori e le loro rispettive contraddizioni, con la connaturata e tutta italiana maniera di infilarsi nelle maglie dell'etica, rappresentano una riflessione sulla storia di quell'Italia, in un momento cruciale del suo sviluppo da democrazia infantile a consapevole repubblica, passaggio a mio parere tuttora non definitivamente concluso.

 

L'APPOSTAMENTO

Quattro poliziotti sono appostati in un appartamento per spiare le mosse di un presunto criminale. Tra turni di appostamento, notti, confidenze reciproche e azioni di polizia, questi quattro poliziotti rivelano tutta la loro umana povertà. I difetti di ognuno, i problemi nelle relazioni interpersonali, le personali ossessioni, manie, paure, renderanno il loro appostamento un luogo di reciproca tortura, in cui l'unico vincitore, quanto meno per la straordinaria coerenza dei comportamenti, è proprio il criminale che loro dovrebbero sorvegliare. Il finale rovescia tutte le attese e lascia i quattro in una irrisolvibile situazione in cui la migliore via d'uscita è essere complici.

 





Esiste, inoltre, un mio breve racconto - Una porta gialla e nera - pubblicato nella antologia VICOLODELLARATTA/CIVICO 14, per il TeatroCivico14 di Caserta.

Non ho abbandonato, però, la scrittura per il teatro.
I miei testi continuano ad essere messi in scena dalla mia compagnia. Nel 2013/2014 ho girato l'Italia con UN ANNO DOPO, storia di due impiegati che convivono nello stesso ufficio per trent'anni consecutivi. In quel caso ero in scena con Enrico Ianniello
Invece tra il 2015 e il 2016 ho messo in scena BIRRE E RIVELAZIONI, altra storia a due con il tema di fondo dell'omosessualità e i pregiudizi. Questa volta con me sul palco c'era Andrea Renzi.
Nel 2019 ha debuttato al Napoli Teatro Festival la mia opera forse più complessa IL TEMPO E' VELENO, per la regia di Francesco Saponaro, e agli inizi del 2020 è stata la volta di TOSSINE, commedia nera e tragicomica, prodotta dal Teatro Mercadante, con Teresa Saponangelo e Ivan Castiglione sul palco con me.

A metà tra la narrativa e la scrittura scenica si colloca NeroSangue (Guernica) un monologo musicale eseguito solo in forma di lettura.

 
 


 

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